Harley-Davidson XR1000: cultura sportiva.
Il 26 Febbraio 1981 è un giorno da ricordare nella storia dell’Harley-Davidson.
L’unica Casa motociclistica americana, ancora in attività, riacquistò la propria indipendenza dopo 13 anni di “sottomissione” all’American Metal Foundries, meglio nota come AMF, ovvero la gigantesca multinazionale che nel 1969 in un momento di grave crisi finanziaria la salvò dalla bancarotta.
Un’operazione realizzata con passione e determinazione.
Fra gli investitori in cordata c’era anche un certo Willie G. Davidson, diretto discendente dei fondatori del marchio.
Il mondo americano della motocicletta salutò con entusiasmo e speranza questa nuova impresa, creata soprattutto per ridare lustro e importanza ad una storia già leggendaria.
La gestione AMF ebbe il grande merito di salvare H-D dal fallimento ma, nel tentativo di battere la fortissima concorrenza giapponese, aveva imboccato strade sbagliate, prima fra tutte quella di prediligere la quantità piuttosto che la qualità del prodotto, e il mercato aveva castigato questa direzione che contraddiceva il dogma imprescindibile della Casa di Milwaukee: “quality over quantity”.
Negli intendimenti del nuovo staff dirigenziale c’era la volontà prioritaria di tornare ad un prodotto di classe, con una spiccata personalità e un efficace standard produttivo, per sfidare il florido mercato motociclistico dei primi anni ‘80.
Per rilanciare l’immagine era essenziale rinnovare la gamma offrendo modelli più attuali senza dimenticare la tradizione.
Entrò in produzione la nuova versione del motore Shovelhead 1340 cc., e nel 1982 la linea big twin si ampliava introducendo il telaio FXR, mentre per quanto riguarda gli Sportster arrivarono due nuovi modelli fondamentali, l’XLX e l’XR1000.
Mentre il primo era un’evoluzione naturale ed efficace dello Sportster già in produzione, l’XR rappresentava qualcosa di davvero nuovo, una motocicletta che gli appassionati aspettavano da tempo ma sulla quale AMF non aveva voluto rischiare.
La progettazione dell’XR1000 prese ispirazione dalla leggendaria XR750, regina incontrastata del Flat Track che dagli anni Settanta collezionava vittorie nel Campionato AMA Grand National.
Pur conservando le caratteristiche dimensionali dello Sportster, l’XR1000 incorporava delle modifiche meccaniche specifiche, diventanto di fatto la prima streetfighter di casa H-D.
Era una motocicletta che si indirizzava ad una clientela esigente, alla ricerca di un prodotto che fosse inconfondibilmente Harley-Davidson, ma in grado di fornire sensazioni e prestazioni fino a quel momento solo sognate dalle bicilindriche di Milwaukee.
L’XR1000 non era comunque destinata a grandi numeri di produzione, era piuttosto un veicolo esclusivo destinato ad attrarre attenzione sul rilancio del Marchio, una “marketing bike” per appassionare il pubblico che poteva immaginare di guidare su strada la replica del vittorioso bolide da flat track di Jay Springsteen.
Nel biennio di produzione 1983/1984 in totale vennero assemblate solamente 1750 unità.
L’XR era una moto troppo cara e fuori dagli schemi per l’utenza H-D, il prezzo superava di duemila dollari quello del modello XLX da cui derivava e la presenza del muscoloso motore corsaiolo non fu percepita come plausibile giustificazione della differenza richiesta.
Molti esemplari rimasero per anni esposti all’interno dei concessionari e vennero poi svenduti negli anni a seguire.
Come spesso insegna la storia, un flop commerciale può rappresentare motivo di futuro interesse.
L’evoluzione del gusto, l’attenzione verso l’esclusività progettuale e l’esiguo numero di esemplari in circolazione ha contribuito a modificare il destino dell’XR1000, diventando gradualmente una delle americane più rare e collezionabili.
Nel 2018 in Italia un annuncio proponeva un’XR1000 importata recentemente dagli Stati Uniti, funzionante ma incompleta e in condizioni approssimative.
A livello meccanico ed estetico la motocicletta avrebbe avuto sicuramente bisogno di un restauro conservativo per ritornare allo splendore originale.
Il gioco sarebbe relativamente semplice, si stila un elenco degli interventi necessari e si procede con ordine per ripristinare le parti presenti e ricercare i pezzi mancanti.
Ma la proverbiale italica tensione verso la ricerca delle prestazioni, iniziò ad insinuarsi influenzando il progetto di restauro.
Replicare i limiti meccanici anni ‘80 su una motocicletta che potrebbe essere molto più performante e sportiva sarebbe un vero peccato. Quello che in America è stato assemblato con cura artigianale avrebbe l’opportunità di diventare ottimo in Italia più di 30 anni dopo.
Utilizzare una rara XR1000 come base di partenza per una preparazione meccanica e stilistica necessita di disciplina e profonda cultura dell’argomento, modificare un’icona potrebbe rivelarsi una mossa alquanto azzardata se non si hanno idee chiare ed una precisa visione d’insieme.
L’obbiettivo è quello di aumentare sensibilmente le doti dinamiche, porre l’accento sulla sportività per sfruttare appieno le prestazioni del motore: mirati interventi per trasportare le sovrastrutture del 1984 nel nuovo millenio, senza mai perdere di vista l’estetica e le quote originali.
L’avantreno di serie costituito da forcella da 35mm, doppio freno a disco da 292mm e pinze a singolo pistoncino, cede il passo ad una forcella Sportster Sport da 39mm con idraulica interna Andreani, dal catalogo Genuine parts & accessories arrivano pinze a doppio pistoncino e dischi flottanti.
La piastra antisvirgolo Telefix/Screamin’Eagle viene sabbiata per riprendere la stessa tonalità di grigio dei carter motore, e dona stabilità addizionale alla forcella assieme all’ammortizzatore di sterzo Daytona.
Una coppia di ammortizzatori Ohlins da 360mm aumenta l’altezza dal suolo e accorcia l’interasse, migliorando la reattività in curva e la stabilità sui rettilinei.
Una vera sfida nella sfida è stata la scelta delle ruote.
L’equipaggiamento di serie prevede i classici cerchi in lega a nove razze, 19” all’anteriore e 16” al posteriore entrambi verniciati in grigio ed impreziositi da una sottile linea arancio che corre sul labbro esterno.
Le ruote stock sono sicuramente azzeccate e fanno parte dei segni distintivi dell’XR ma l’obbiettivo è quello di dare alla motocicletta un assetto più sportivo, una linea più “leggera” e slanciata; ridurre il numero delle razze ed aumentare l’ampiezza del cerchio posteriore restringono le possibilità di alternative.
L’XLCR montava cerchi Morris a sette razze 19” & 18” pollici; dopo mesi di ricerca una coppia new old stock di Morris arriva dagli USA, e si inizia a progettare l’adattamento.
Cerchioni del 1978, su una motocicletta del 1984 con ciclistica anni 2000.
Flange in ergal vengono costruite da zero, una per una al tornio, ed accoppiate ai cerchi.
Una volta montate ci si rende conto che sarà un peccato celarle dietro ai dischi freno, sono delle piccole opere d’arte dalla precisione millimetrica.
I sette razze di derivazione XLCR vengono verniciati con i colori XR1000, grigio e linea arancio stesa a mano nello scasso ricavato al tornio, una volta montati regalano esattamente l’effetto desiderato: la motocicletta ora è slanciata, e sembra leggera come una BMX!
La carrozzeria originale State Grey metallic è in buono stato di conservazione, ma le decals originali della variante bicolore sono una tentazione troppo forte, il rigoroso vestito grigio viene riposto con cura nell’armadio, per lasciare spazio ad una nuova fiammante replica della carrozzeria nero/arancio dell’84 ricreata ad hoc.
Una volta preparato con cura il palcoscenico giunge il momento che entri in scena il vero protagonista dell’opera. L’iconico motore con teste in alluminio e valvole simmetriche non ne vuole sapere di rimanere come Jerry Branch l’ha voluto più di 35 anni fa!
Il bicilindrico viene smontato completamente e controllato con cura in ogni singolo componente, nuovi pistoni, albero a camme più brioso, teste, valvole e condotti lucidati a specchio.
Bobina e cavi candela Screamin’Eagle pensano a mantenere allegra l’accensione e un radiatore olio Lockhart rinfresca i bollenti spiriti.
Siamo sinceri, le particolarità più affascinanti del motore XR sono la spavalda coppia di carburatori Dell’Orto da 36mm in tandem sul lato destro e gli alti scarichi a fargli da contraltare sul lato opposto; dettagli macroscopici che colpiscono appena si osserva la motocicletta.
Per soddisfare la sete di benzina del rinnovato motore ora ci sono due nuovi Dell’Orto da 40mm, mentre i gas combusti passano attraverso una linea scarico completa ed originale Supertrapp, con i “cannoni” chiusi da tappi finali rigorosamente “competition only”.
Si avvia il motore e si sale in sella, la posizione di guida è aggressiva, le mani aggrappate al largo manubrio da flat-track, piedi poggiati sui comandi arretrati Storz, in mezzo alle gambe i lunghi filtri K&N respirano forte e le Supertrapp tuonano ritmate scandendo la danza dei pistoni, ad un palmo dalle natiche.
Guidare così tanto motore con intorno così poca motocicletta è un’emozione viscerale che è difficile da spiegare a parole, bisogna abbandonarsi alla forza bruta della coppia e alle good vibrations che accompagnano in crescendo la poderosa sinfonia meccanica.
Le modifiche sono molte, la ricerca dei componenti e la realizzazione di questa motocicletta eccezionale è durata più di due anni, ora è rinata e le idee sono diventate realtà.
L’obbiettivo è raggiunto: ad un primo sguardo si riconosce immediatamente un’XR1000 bicolore del 1984, poi si aguzza la vista, ci si avvicina, e tutti i particolari si rivelano raccontando quanto il processo sia stato minuzioso e senza compromessi.
Questa è la motocicletta che riassume alla perfezione il punto di vista di Reparto Sportivo, una preparazione realizzata con gusto e disciplina!
“Guidare così tanto motore con intorno così poca motocicletta è un’emozione viscerale che è difficile da spiegare a parole!”
Scritto da Corrado Ottone.
Foto di Raffaele Paolucci.