Lucifer’s Hammer Buell: la storia.
Il punto di partenza, il momento zero.
L’attimo nel quale scatta la curiosità che definisce l’inizio di una passione.
Quel preciso instante per molti è un ricordo lontano, dimenticato.
Forse persino complicato da focalizzare, perché generato da una conseguenza di piccole coincidenze sovrapposte, pilotate da un’unica gravità di entusiasmo.
Forse c’è una sequenza logica in quello che accade nella vita, sicuramente le nostre azioni portano a reazioni che modificano il percorso degli eventi, la sfida è nel ripercorrere questi passaggi, per definire i valori e le qualità dei protagonisti delle storie che ci coinvolgono.
La cosa più eccitante di questo percorso è il privilegio di conoscere dal vivo chi per noi rappresenta un punto di riferimento nella costruzione della nostra passione o ritrovarsi davanti ai veicoli che ne definiscono il senso più profondo.
Grosso modo erano questi i pensieri che mi rimbalzavano nella testa, mentre l’aereo iniziava la fase di rullaggio sulla pista di Stansted.
Dopo diversi anni ricordo ancora la sensazione di smarrimento che provavo, una strana reazione provocata dalla consapevolezza di aver toccato con mano una motocicletta che rappresenta il cardine di una storia che ha coinvolto migliaia di appassionati in tutto il mondo, me compreso.
Una motocicletta studiata solo attraverso le poche pubblicazioni o le notizie frammentarie presenti in rete.
Una due ruote che segna l’origine di un marchio e il vero punto di partenza di un’avventura durata più di vent’anni, amplificata poi nella produzione in serie.
Mentre il profilo di Londra scompariva sotto le ali, pensavo che laggiù, un garage di legno e mattoni nella tranquilla periferia londinese, era la casa dell’unica Lucifer’s Hammer/Buell esistente al mondo.
Daytona 1987, tappa del campionato Battle of the Twins.
Una sequenza fotografica cristallizza l’instante nel quale la Lucifer’s Hammer II (così chiamata per essere l’evoluzione della prima Lucifer’s Hammer con telaio XRTT del 1983) esce di pista carambolando più volte.
Gene Church pilota di punta del Team Don Tilley (che gestiva il reparto corse ufficiale HD su pista) ne esce malconcio, molto più dell’LH che guidava, non riuscendo di fatto a terminare la stagione e compromettendo soprattutto l’intero sviluppo della moto nata solo pochi mesi prima.
Nei box, ruspanti e bollenti, di una calda Daytona anni ‘80, un ingeniere trentasettente, che quella moto l’aveva progettata, forse aveva già compreso d’essere di fronte ad un punto di svolta.
Di li a pochi mesi, il futuro della Buell Motorcycle Company si sarebbe legato in maniera indissolubile al marchio Harley-Davidson per la produzione di motociclette stradali, cambiando per sempre la sua vita.
Per tre anni Gene Church e Don Tilley (proprietario della concessionaria H-D di Statesville, NC) dominarono i campionati nazionali AMA Battle of the Twins, con la prima serie della Lucifer’s Hammer, la stessa motocicletta motorizzata su base XR1000 che Jay Springsteen guidò alla vittoria nel 1983 nella gara di debutto a Daytona.
Ma la concorrenza, Ducati e Honda su tutti, tecnicamente più evoluta , iniziava a mettere in serio pericolo la supremazia HD rendendo necessario un aggiornamento importante della Lucifer’s Hammer.
Fu affidato a Erik Buell, grazie alla sua esperienza nel mondo delle competizioni e ai contatti professionali con il mondo HD, il compito di realizzare da zero una nuova ciclistica, più moderna ed efficace, per gestire l’esuberanza del propulsore XR1000 da competizione e lottare ad armi pari con modelli dalle prestazioni in forte crescita.
Buell realizzò un telaio dalla geometria inedita per l’epoca, soprattutto in rapporto ai modelli da competizioni utilizzati dal marchio HD.
La Lucifer’S Hammer II, o RR1000R (come venne poi siglata) possedeva una ciclistica delle caratteristiche uniche e rivoluzionarie.
Era una moto molto compatta con un passo di soli 1360 mm ed un angolo di inclinazione del canotto di 25 gradi, cerchi Dymag da 16”, mentre all'avantreno era utilizzata una forcella a steli rovesciati con dischi freno da 320 millimetri, la sospensione posteriore era posizionata sotto il propulsore così come il serbatoio dell'olio motore.
La principale innovazione nella ciclistica, oltre alla distribuzione delle masse, era l'impiego di un sistema di montaggio elastico del propulsore assolutamente inedito, “l'Uniplaner”, (poi acquisito dall’HD e ad oggi utilizzato sull’intera gamma) che associato ad un peso complessivo ridotto a circa 160kg regalava all'RR1000 una guidabilità unica con un angolo di inclinazione di 55° ed una velocità massima rilevata a Daytona di poco superiore a 280km/h.
Altro elemento fondamentale della Lucifer’S Hammer/Buell era sicuramente il propulsore, evoluzione massima di casa HD nelle competizioni.
Un motore unico nel suo genere, esplosivo e performante, sicuramente fragile, ma incredibilmente competitivo.
Di fatto entra di diritto nella storia HD come il più potente motore “tradizionale” mai utilizzato su pista dal marchio americano, superato solo negli anni successivi dai propulsori HD VR1000 e Buell XBRR.
Un bicilindrico raffreddato ad aria, basamento XR750 e teste in alluminio di derivazione XR1000, cilindrata 1146cc a corsa corta, con doppia accensione, 2 valvole per cilindro con distribuzione ad aste e bilancieri e rapporto compressione 10,5:1. Doppio carburatore Mikuni da 42mm, per una potenza di ben oltre i 110cv, con l’utilizzo dell’unica trasmissione a cinque velocità esistente su basamento XR750.
Una motocicletta unica, dalle grandi potenzialità, segnata da un destino spietato.
Dopo lo spettacolare incidente di Daytona, l’RR1000R fu ricostruita, e nel 1990 fu consegnata a Buell che nel frattempo aveva già avviato la produzione delle RR1000 stradali, alcune delle quali vennero da subito impiegati da team privati nelle competizioni nazionali.
Buell affidò nel 1990 al pilota Scott Zampach la Lucifer’S Hammer II ricostruita per partecipare al Campionato Nazionale “Lightwelght Super Twins”, dominando la stagione, piazzando inoltre al terzo posto una Buell RR1000 “stradale” privata.
La superiorità dell’RR1000R fu così schiacciante che dal 1991 venne modificato il regolamento, riducendo la cilindrata massima per motori raffreddati ad aria aste e bilancieri a 900cc.
Erik decise quindi di correre alcune gare nel 1991 nella categoria di Pro Twins, con il limite di cilindrata fino a 1200cc, e nonostante la superiorità delle concorrenti, fra le quali Bimota Tesi, ottenne risultati davvero incredibili!
La fine della stagione 1991 decretò la definitiva uscita dalle scene della Lucifer’S Hammer/Buell.
L’ultima “apparizione” coincise con pubblicazione nell’Aprile del 1992, del magazine “American Iron”.Un articolo del giornalista ed autore Buzz Buzzelli descriveva, con l’aiuto di scatti incredibili, le origini e la storia dell’RR1000R, rappresentata nella livrea originale utilizzata dal pilota Scott Zampach, con il numero di gara 103.
Da quel momento, la Lucifer’s Hammer/Buell diventa una leggenda dimenticata, il marchio Buell Motorcycles entra nell’orbita commerciale dell’HD e di questa motocicletta da competizione unica, dal valore storico inestimabile, si perdono le tracce.
L’Italia è terra di poeti, santi e navigatori, certo.
Ma è soprattutto la patria dei motori, della velocità e di tutto quello che la passione legata al mezzo meccanico ha generato negli anni, a tutte le latitudini.
Ed è esattamente in Italia che la storia della Lucifer’s Hammer riprende vita grazie alla passione dell’imprenditore milanese Roberto Crepaldi che l’acquistò direttamente da Erik Buell.
Dopo alcuni anni di buio, sul numero di Marzo di 25 anni fa del mensile MOTO Tecnica, viene pubblicato un servizio, firmato dal giornalista Massimo Clarke, su quella che viene definita “Buell-Harley 1000”.
Sebbene nell’articolo non venisse specificato in maniera dettagliata, descrivendola generalmente come “una moto ufficiale che ha partecipato al campionato BOT nel 1987”, la moto descritta risulta essere effettivamente una Lucifer’s Hammer/Buell, seppur pesantemente modificata, sia nella ciclistica sia nel gruppo termico.
Come descritto nell’articolo di Clarke, e da quello che ho potuto successivamente apprendere di persona (dal proprietario londinese che la riacquistò anni dopo), l’RR1000R è arrivata in Italia all’inizio del 1992, smantellata e in condizioni decisamente disastrate.
Le parti originali importate risultano essere il telaio, il forcellone post. (poi modificato), alcuni elementi della carrozzeria, ed il gruppo termico XR1000 a doppia accensione.
Sono stati necessari più di due anni di lavori per completare l'intervento di ripristino.
Il telaio è definito attraverso un VIN caratteristico, differente da quello utilizzato per le Buell RR1000 stradali, e ne identifica la costruzione espressamente per l’uso agonistico: BUELL RR1000 EXP 02/86.
Differisce rispetto alle RR1000 stradali nella sezione e geometria di alcuni elementi tubolari, nel peso, e nei punti di fissaggio della bobina, delle carenature, e del serbatoio dell'olio motore.
Si tratta quindi del telaio originale di una Lucifer's Hammer 2 utilizzato dal Team Tilley, probabilmente sono stati realizzati solo 2 telai di questo tipo prima dell'inizio della produzione delle RR1000 stradali.
L’intervento di restauro e preparazione è stato affidato al maestro milanese dei motori Mario “Voronoff” Rognoni (all'epoca capomeccanico della Britten del team CR&S sino al 1996), successivamente le fasi di montaggio e messa a punto finale sono state completate dall'officina Pettinari di Milano.
Rispetto “all’originale” Lucifer’r Hammer II, vista la quantità degli elementi di meccanica e carrozzeria mancanti (la moto era già stata smantellata prima della vendita) sono state apportate numerose modifiche sia alla parte ciclistica, sia estetica e di meccanica.
Il motore è stato modificato con l’utilizzo di un blocco HD 883 4 marce, opportunamente modificato per accogliere i due gruppi termici XR1000.
Il motore è di tipo “sottoquadro”, la cilindrata è di 997,10 cc. con alesaggio di 81 mm e corsa di 96,80 mm con quattro alberi a camme individuali (utilizzano cioè un eccentrico ciascuno), cambio in blocco e trasmissione finale a catena sul lato destro.
In ciascun cilindro è stato alloggiato un pistone stampato “Gilardoni” realizzato espressamente partendo da un elemento grezzo destinato ad un motore Ducati; le testate sono le tradizionali della serie XR in lega leggera a doppia accensione.
L'alimentazione è fornita da due carburatori Mikuni da 40 mm a valvola piatta con diffusore, le valvole sono inclinate di 60° e vengono azionate da punterie a rullo, aste e bilancieri a due bracci; le valvole di aspirazione originali sono state sostituite con valvole in titanio di dimensione maggiori.
Il propulsore di questa RR1000R è stato ulteriornemte alleggerito e rinforzato soprattutto nel basamento ed in questa conformazione sviluppa una potenza superiore a 110cv con un'erogazione incredibile ed una curva di coppia costante e lineare.
All’avantreno è stata montata una forcella Ohlins rovesciata da 42 mm pluriregolabile, Ohlins regolabile anche per il monoammortizzatore centrale collegato al forcellone post. con una nuova struttura di rinforzo più rigida rispetto alla prima serie di LH2, per un interasse finale di 1410 mm.
Dischi ruota “Tecnomagnesio” da 17”, mentre il sistema frenante ant. è stato realizzato con dischi flottandi Brembo da 320 mm, pompa radiale Brembo ed una coppia di pinze a sei pistoncini prodotte dalla “Billet”.
Le carenature sono state realizzate in materiale composito, il serbatoio del carburante in lega leggera è artigianale ed è stato realizzato da Giancarlo Berti di Milano, il serbatoio dell'olio motore è stato anch'esso realizzato in maniera specifica per essere posizionato sotto la sella, mentre nella versione originale dell'LH2 veniva posizionato nella parte frontale del sottomotore.
Tutti i leveraggi, raccordi e staffe sono ricavati dal pieno e tutta la bulloneria originale è stata sostituita con elementi in ergal e titanio.
In questo allestimento, la Lucifer’s Hammer/Buell venne principalmete utilizzata dal team CR&S nella Battle of Twins italiana, e rimase poi nella collezione privata di Roberto Crepaldi sino al 2005 quando venne venduta, attraverso la casa d’aste Bonhams, per finanziare in parte il nuovo progetto CR&S Vun.
Per diversi anni, le notizie di “avvistamenti”, principalmente attraverso forum di appassionati, davano notizie confuse sulle condizioni e sulla reale esistenza di questa motocicletta.
Poi come spesso accade a chi non si da mai per vinto, in maniera quasi casuale, qualche anno fa arriva un contatto valido.
La Lucifer’s Hammer II esiste ancora, e si trova a Londra.
Il proprietario, del quale non dimenticherò mai la gentilezza, si offre di farmela trovare direttamenta all’Ace Cafe.
Era una domenica mattina, e il parcheggio dell’Ace era popolato come di frequente da centinaia di motocilisti.
Le nuvole erano pesanti e tagliavano un cielo stranamente splendente.
Ricordo solo il piatto della colazione a scacchi bianchi e rossi e le vetrate alte dell’Ace Cafe dalle quali controllavo l’arrivo dell’LH.
D’un tratto, da un furgone anonimo con vetri oscurati vedo scaricare una motocicletta nera e arancione, è Lei.
Non è facile spiegare cosa si prova davanti a qualcosa che non si credeva potesse esistere ancora, perlopiù in condizioni strepitose!
Mentre la osservavo, cercando di mantenere un minimo di sangue freddo per poter scattare un paio di foto decenti, il proprietario ha elencato il complesso lavoro di restauro eseguito, sia per sanare alcuni guasti meccanici dovuti alle competizioni, sia per ricostruire, nel modo più fedele, l’estetica originaria.
Dopo una profonda revisione alla meccanica del propulsore, senza stravolgere le caratteristiche derivate dalla prepazione “italiana”, è stata sostituita completamente la ciclistica frontale, con una Marzocchi M1R e pinze Brembo, più “corrette” a livello temporale con il modello originale.
Sono state eseguite inoltre modifiche all’impianto elettrico e di lubrificazione del motore, ma ovviamente l’intervento più evidente è il montaggio della carenatura frontale completa, che richiama quella originaria dell’RR1000R, ma verniciata nei classici colori racing HD nero-arancione, al posto dell’originale “caffè latte” della squadra ufficiale HD anni ‘80.
Non è difficile immaginare che quel telaio sia esattamente lo stesso che rotolava assieme a Church nella sabbia di Daytona più di 30 anni fa.
Ed è incredibile pensare cosa possa rappresentare ancora oggi quella moto, la genesi di un marchio, e l’unico anello di contatto con un periodo storico indimenticabile nel mondo delle competizioni!
Scritto da Alberto Zanini.